Comunicazione e disabilità: come intervenire

Comunicazione e disabilità: E’ possibile imparare a comunicare bene?

 

“E’ patologica la comunicazione di una data famiglia perché uno dei suoi membri è psicotico, o uno dei suoi membri è psicotico perchè la comunicazione è patologica?” (Paul Watzlawick)

 

Sappiamo che la “comunicazione” non riguarda solo il linguaggio, ma in realtà il concetto è molto più ampio.

La comunicazione è incontro, relazione, e per esserci ha bisogno (almeno) di due persone che condividano codici comuni ai quali poter attribuire un significato e poter dare risposta.

L’atto comunicativo è un processo complesso nel quale entrano in gioco tante variabili: parole, gesti, scrittura, ma anche aspetti psicologici (interesse, motivazione, attenzione) e aspetti fisici (ad esempio rumori che ostacolano la ricezione del messaggio).
Questi aspetti e variabili influenzano in maniera determinante la comunicazione quando hai di fronte un interlocutore che possiede una disabilità.

In che modo?
Il problema di base seppur con sfumature diverse, è psicologico e tecnico, sia nella persona senza disabilità che in quella con disabilità.

La persona “normodotata”, troppo spesso trova ostacoli psicologici che causano difficoltà a rapportarsi e comunicare con l’altro. Pensare all’altro come una “persona normale che ha un deficit nel fare alcune cose” e non come “colui che incarna il deficit” porta ad instaurare una relazione più spontanea e soddisfacente.

Gli ostacoli tecnici, invece, riguardano la scarsa preparazione e l’erronea conoscenza degli strumenti e delle modalità di comunicazione che portano alla comparsa di comportamenti problema nella persona con disabilità. Il comportamento problema è distruttivo e/o pericoloso per l’individuo, gli altri e l’ambiente o è un comportamento che ostacola l’apprendimento e l’interazione sociale.

 

Da disturbo della comunicazione a disturbo della relazione: quale la possibile soluzione?

Il disturbo della relazione si manifesta sotto forma di comportamenti problema, non adattabilità e scarsa capacità d’inserimento nel contesto sociale, difficoltà ad esprimere e comprendere i propri bisogni e necessità, frustrazione.

Una comunicazione continuamente disturbata, inevitabilmente porta ad un allontanamento psicologico dei due partner comunicativi e, quindi, ad una rottura forzata della relazione. Questo è uno dei motivi principali per cui molte famiglie lamentano isolamento e pochi contatti sociali: spesso non si conoscono le basi della corretta comunicazione con persone con disabilità, specie se intellettiva.

Una delle soluzioni è la progettazione di un intervento psicologico che fornisca strumenti che permettano ai soggetti di interagire con l’altro, ottenere risposte e soddisfare i propri bisogni concreti e sociali. Si agisce sul senso di frustrazione e sulla frequenza dei comportamenti problema.
In Italia è possibile e questo tipo di intervento lo incarna a pieno il “metodo del Coach Familiare”, ideato e formalizzato da due psicologi, il Dott. Pietro Berti, ideatore, e Serena Cartocci sua collaboratrice sin dalla nascita del metodo.

I due psicologi sono anche gli autori del libro Una vita «dopo di noi». La vita autonoma e adulta delle persone con disabilità che racconta esperienze di vita vissute con le famiglie dove la comunicazione, in tutte le sue forme, ha giocato un ruolo molto importante.

 

Il “Coach Familiare”

Il “Coach Familiare” è un metodo di lavoro che sostiene e accompagna la persona con disabilità e la sua famiglia verso il superamento di momenti critici, creando i presupposti per lo sviluppo delle autonomie, l’inserimento o il reinserimento sociale. Il metodo del Coach Familiare lavora anche sulle dinamiche comunicative ripristinando così una comunicazione efficace, troppo spesso compromessa dall’incontro con la disabilità.

Il modello dal 2012 sta avendo successo grazie anche alla collaborazione con la cooperativa sociale “Il Mandorlo”, coinvolgendo finora più di 50 famiglie. La validità del metodo del Coach Familiare è stata riconosciuta anche da SuperAbile Inail; in famiglie di infortunati sul lavoro, ha adottato il metodo ottenendo ottimi risultati.

 

 

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