Coach Familiare: cosa ne pensa un partecipante

Coach Familiare: cosa aspettarsi dal corso? Lo chiediamo ad un partecipante

a cura di Simone De Marco.

Ho fatto alcune domande ad un partecipante all’edizione dell’ultimo corso di Coach Familiare, per avere un feedback della sua esperienza.

La persona ha chiesto di rimanere anonima, e pertanto non ci saranno indicazioni riguardanti:

  • il genere
  • la zona di residenza
  • né altro elemento che possa aiutare ad identificarlo/a.

 

Come hai conosciuto la metodologia del Coach Familiare?

Ho conosciuto il metodo del Coaching Familiare con le lezioni universitarie di progettazione e psicologia di comunità del professor Pietro Berti.

Inizialmente noi studenti non sapevamo bene cosa aspettarci, ci era stato presentato solo come un metodo nuovo per approcciarsi alle famiglie con disabilità e supportarle in vari ambiti e in vari modi.

 

Cosa pensavi prima di iniziare il corso sulla metodologia del Coach Familiare?

Sono sempre stato una persona aperta alle nuove esperienze e alle novità, quindi la prospettiva di conoscere una metodologia innovativa, in cui uno psicologo va a casa di una famiglia per supportare i suoi componenti per risolvere i loro problemi ed aiutarli a migliorare la loro vita ed il loro approccio con la malattia mi ha allettato molto.

In particolare, mi chiedevo come si sarebbe potuto inserire efficacemente uno psicologo all’interno delle dinamiche familiari conoscendole ed allo stesso tempo intervenendo per migliorarle.

 

Conoscevi questa nuova metodologia prima di frequentare il corso?

Prima di frequentare il corso ero un po’ scettico sulla metodologia, perché pensavo:

Se è già difficile gestire i problemi di una singola persona, quanto può esserlo gestire un’intera famiglia? Quanto può essere efficace?

Durante il corso mi sono ricreduto, perché in questa situazione lo psicologo non agisce molto sulla persona… non direttamente almeno.

Il suo intervento è mirato al cambiamento dell’ambiente:

  • fisico in minima parte (a meno che non ritenuto indispensabile)
  • relazionale in maniera molto consistente

L’intervento, svolto in questi termini, permette di coinvolgere la persona con disabilità e la sua famiglia cercando di evolvere le dinamiche in cui sono immerse e che a volte vengono ritenute immutabili.

Si mira a cambiare le dinamiche relazionali che portano a dei comportamenti problematici nella famiglia e provocano uno squilibrio, una disarmonia nelle relazioni (ed in generale nelle vite) dei componenti stessi della famiglia.

 

Perché hai deciso di iscriverti al corso di Coach Familiare?

Durante le lezioni del professor Pietro Berti in università, lui ci ha raccontato alcuni casi di cui si è occupato.

Questi casi erano spesso molto diversi tra loro ma facevano capire appieno la versatilità del metodo in varie situazioni.

L’approccio si discosta, in buona parte, da quegli interventi fatti con protocolli rigidi, su alcune tipologie di problemi.

Il metodo del Coach Familiare insegna a fare uso delle sue conoscenze per adeguarsi, per disegnare l’intervento più adatto per l’intera famiglia, per quella specifica famiglia.

La versatilità del metodo, la possibilità di imparare ad agire mettendo a frutto le conoscenze acquisite durante vari anni di studio in modo nuovo ed efficace mi ha spinto a voler conoscere più approfonditamente il metodo e, perché no, un domani applicarlo.

Un aspetto importante nella decisione di frequentare il corso è stato proprio che mette in evidenza l’applicazione pratica dello studio; da neolaureato posso dire che questa è una differenza sostanziale dai corsi universitari, che sono prettamente teorici e in cui di pratico c’è poco o nulla.

 

Come si è svolto il primo modulo del corso?

Il primo modulo del corso, dopo la parte in FAD, in cui venivano presentate le teorie e gli strumenti principali, si sarebbe dovuto tenere in aula e mi aspettavo qualcosa di simile alle lezioni universitarie.

L’emergenza Covid-19 ha fatto sì che questa modalità non fosse più possibile e si è optato per il webinar.

Inizialmente la cosa mi ha infastidito molto, pensavo che sarebbe stato depersonalizzante e demotivante avere a che fare con altre persone solo attraverso uno schermo, e sarebbe stato sicuramente così, se il tipo di lezione non fosse stato così interattivo.

In realtà, alla fine, ho forse preferito il webinar alle lezioni in presenza. Oltre al risparmio economico dovuto al non dovermi spostare da casa, era un po’ come essere in aula… anzi meglio!

 

Il Webinar

La modalità webinar è interessante e mi ha colpito il fatto che dovendo attivare il microfono per parlare non si avevano sovrapposizioni e i turni di parola erano quindi sempre rispettati.

Inoltre, e questo aspetto positivo non me lo sarei mai aspettato, durante il webinar si hanno di fronte le facce di tutti i partecipanti contemporaneamente e questo aiutava molto a sentirsi parte di un gruppo, contrariamente a quanto accade in aula, in cui di solito si conosce il viso solo delle persone che siedono direttamente vicino a noi mentre delle altre si conosce solo la nuca!

Il metodo di insegnamento di Berti e Cartocci, dopo le prime lezioni classiche per teorie e strumenti, si basa su qualche sondaggio e, soprattutto, sul role playing.

Alcuni casi clinici sono raccontati e, certi momenti critici della scena descritta sono interrotti da domande ai partecipanti al corso del tipo:

Che cosa diresti in questa situazione? Secondo te, per quale motivo questa persona mette in atto questo comportamento problema?

In questo modo viene stimolata la riflessione dei partecipanti, l’immedesimazione nel ruolo e il confronto dei vari punti di vista che vengono poi analizzati anche alla luce dell’esperienza dei docenti.

Il racconto dei casi, inoltre, è un riscontro pratico delle teorie e tecniche apprese in precedenza, di come queste possono essere applicate in situazioni reali.

 

Parlami un po’ dei contenuti del primo modulo del corso di Coach Familiare

Questa metodologia s’inquadra nel paradigma del Costruttivismo, secondo cui la realtà è costruita insieme dalla persona e dall’ambiente in cui questa è immersa, quindi anche dalle altre persone.

Infatti, il Coach considera la persona con disabilità nel suo contesto principale, a casa con la sua famiglia, ed è lì che agisce.

Il Coach Familiare fa però riferimento a diverse teorie e strumenti presi da vari ambiti, dalla teoria ecologica di Bronfenbrenner al comportamentismo di Skinner, ma che si amalgamano bene tra loro, trovando un utilizzo versatile ed efficace ai fini del supporto di una famiglia in cui è presente una persona che soffra di disabilità.

Attraverso il racconto dei casi, si comprende come si deve comportare il Coach in una famiglia per avere dei risultati soddisfacenti insieme a loro nel ridurre i comportamenti problematici presenti o nel migliorare la loro qualità di vita, ad esempio aumentando l’autonomia della persona disabile.

A dimostrazione della plasticità del metodo però, molte tecniche sono comportamentali e anche la cognizione ha il suo peso… insomma, un metodo che per applicarlo devi prima di tutto pensare!

 

Puoi ritenerti soddisfatto di questa prima parte del corso?

Si, pienamente. Da neolaureato spesso non si sa bene che direzione prendere, come approcciarsi al mondo del lavoro.

A volte non si capisce neanche bene quali competenze si hanno!

Questo metodo sembra essere un buon modo per approcciarsi al mondo della disabilità in modo efficace ed essendo il corso così pratico mi ha fatto pensare “anch’io posso essere in grado di farlo!” e mi ha quindi motivato molto ad intraprendere questo percorso.

 

 

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